LA MOBILIZZAZIONE DEL PAZIENTE EMIPLEGICO


La mobilizzazione passiva degli arti è una delle pratiche più usate nella fisioterapia tradizionale del paziente emiplegico. In questo breve articolo verranno analizzate le motivazioni di una tale scelta terapeutica, comprese le critiche e le alternative ad essa opponibili.

Quali sono le motivazioni della mobilizzazione nel paziente emiplegico?

Il paziente emiplegico in seguito all'ictus cerebrale vede notevolmente ridotte le sue abilità motorie e, come sappiamo, se non muoviamo una articolazione per lungo tempo possiamo incorrere in problematiche di tipo fisico e meccanico rilevanti: infatti la stessa capsula dell'articolazione inizia a perdere elasticità riducendo ulteriormente le possibilità di movimento. Questo è un fenomeno tangibile e innegabile ed è per questo che nel trattamento tradizionale post-ictus, soprattutto nei confronti del braccio, vengono proposte al paziente emiplegico delle mobilizzazioni che hanno come obiettivo il mantenimento dell'ampiezza del gioco delle articolazioni. 
Vedremo in seguito come questa pratica di tipo prevalentemente passivo non sia adatta al recupero post-ictus e quali possono essere le valide alternative che, pur mantenendo inalterato l'obiettivo di mantenere vive le potenzialità di movimento di una articolazione, agiscono anche sui processi cognitivi del paziente emiplegico e quindi sul suo reale problema.

Come abbiamo detto più volte, esperienze riabilitative inadatte inducono il paziente emiplegico a strutturare un quadro di spasticità, e quindi di alterazione, del tono dei muscoli, che si presentano rigidi e reattivi agli stiramenti. A volte le mobilizzazioni passive proposte al paziente emiplegico hanno il goffo intento di allungare i muscoli ipertonici sfociando in un vero e proprio stretching.

Perché è preferibile NON proporre Mobilizzazioni passive al paziente con emiplegia?

Il primo motivo è che il problema reale che ha portato all'emiparesi del paziente emiplegico è la lesione cerebrale e la relativa alterazione dei processi cognitivi che permettono il movimento. Per questo la mobilizzazione passiva degli arti è un atto rivolto al solo "corpo", escludendo la partecipazione attiva del paziente in termini di attenzione e di percezione. Mi è capitato assistere a situazioni in cui ad un paziente sdraiato su un lettino veniva mobilizzato l'arto superiore mentre il terapista parlava con il collega di fronte che faceva la stessa cosa con un altro paziente. In questo casotrattandosi di un intervento esterno sul pezzo, ai pazienti non veniva richiesto nulla in particolare, una situazione che mi ricorda la catena di montaggio nel film di Chaplin "Tempi moderni". 

Il secondo motivo è rispetto all'ipertono. Uno dei componenti elementari della spasticità è la reattività abnorme allo stiramento, cioè la contrazione riflessa dei muscoli quando vengono allungati. Nel paziente emiplegico questo riflesso allo stiramento ha soglie molto basse e per questo dopo una periodo di riabilitazione inadeguata è frequente vedere pazienti con le dita delle mani chiuse o il gomito piegato e la spalla adesa al corpo. Il fenomeno appena descritto assume questi connotati patologici in seguito alla lesione; tuttavia, si tratta di un riflesso naturale del nostro corpo intento a proteggere le nostre articolazioni da movimenti esagerati degli arti. In seguito ad un ictus tali riflessi "abnormi" sono i primi a comparire successivamente allo stato di paralisi iniziale e se evocati e potenziati vengono in qualche modo tenuti in vita. In seguito ad un ictus, oltre ad essere risvegliati i primi circuiti (fenomeno della diaschisi), viene alterato anche il controllo cerebrale su tale riflesso. In definitiva, parafrasando l'esempio che propone spesso il Prof. Carlo Perfetti, il muscolo ha "due padroni": il riflesso ed il cervello. Quando viene meno o alterato il padrone cervello allora il padrone riflesso gestisce la situazione muscolare come può. Inoltre entrambi per gestire i muscoli si contengono degli spazi comuni, le sinapsi.

Infine è frequente che il paziente emiplegico senta dolore durante la mobilizzazione passiva dei sui arti, specialmente all'arto superiore. Anche se tradizionalmente siamo abituati a pensare che in alcune situazioni il dolore porti in seguito un beneficio accettandolo per questo, in realtà si tratta di un segnale che va rispettato e compreso
In genere nelle prime fasi della riabilitazione il paziente si trova in una situazione particolare in cui probabilmente sta producendo i primi segni di ipertono, non ha ancora possibilità di movimento se non minime nei confronti della spalla e presenta disturbi della sensibilità anche di tipo spaziale (per intenderci: la capacità di percepire la posizione del suo arto nello spazio). Inoltre è possibile che la sua scapola (che attraverso la sua rotazione permette al braccio di sollevarsi oltre una certa altezza) sia imbrigliata in una "rete" di muscoli ipertonici. I movimenti di mobilizzazione passiva non fanno altro che produrre un movimento contro una resistenza meccanica, determinando il rischio di microlesioni dell'articolazione e la produzione di dolore che porterà lo stesso paziente ad irrigidirsi di più.


Qual è l'alternativa alla mobilizzazione passiva nel paziente emiplegico?

Abbiamo detto che i presupposti sui quali si basa la scelta di effettuare la mobilizzazione passiva degli arti del paziente emiplegico sono:

1. Aumentare l'ampiezza del movimento articolare
2. Ridurre L'ipertono

Mentre i rischi di effettuare delle movimentazioni senza la partecipazione cosciente del malato sono:

  1. Effettuare una riabilitazione non rivolta al problema dell'ictus
  2. Rischio di aumentare l'ipertono
  3. Rischio di produrre microlesioni dell'articolazione

L'alternativa a questa pratica che rispetta tali presupposti escludendo tali rischi è rappresentata dagli esercizi di riabilitazione neurocognitiva, come quello in cui il paziente si trova a riconoscere la posizione del suo arto nello spazio. Volendo fare un esempio pratico proprio per la spalla, vi suggerisco questo articolo che tratta l'esercizio dei cerchi nel Metodo Perfetti. Si tratta di un esercizio in cui il paziente, pur non in presenza di una richiesta una partecipazione in termini di movimento visibile, è chiamato a riconoscere ad occhi chiusi l'ampiezza di diverse circonferenze rappresentate su di un foglio posto di fronte a lui attraverso il movimento del suo braccio mosso dal terapista. Il terapista avrà cura di muovere la mano del paziente come a ricalcare la circonferenza da dover riconoscere, stando attento a non oltrepassare la tensione muscolare del paziente facendogli notare i momenti in cui essa sia presente in modo da renderlo partecipe del controllo di tale fenomeno, che giova comunque della partecipazione attiva dei processi cognitivi del paziente come l'attenzione, la percezione e la memoria (processi tra l'altro spesso alterati dalla lesione cerebrale e che devono essere stimolati e riattivati dalla riabilitazione). Dall'esterno avviene sì lo stesso movimento proposto dal terapista che effettua le mobilizzazioni passive, ma dall'interno il cervello del malato viene stimolato e riattivato.

Quello appena descritto rappresenta solo un esempio di una modalità base di un esercizio della riabilitazione neurocognitiva, ma il messaggio che vorrei passasse attraverso questo breve articolo è:

È giusto puntare al miglioramento dell'ampiezza del movimento dell'articolazione e alla riduzione dell'ipertono, ma questo si può fare anche coinvolgendo il reale problema del paziente emiplegico ovvero le funzioni cerebrali che partecipano al movimento. 

Questo si può fare se il paziente è richiamato a stare attento al suo corpo durante l'esercizio (per questo la scelta degli occhi chiusi) e se l'esercizio stesso rappresenta un problema da risolvere attraverso la costruzione di informazioni con il corpo e con l'ambiente. 
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3 commenti:

grazie delle informazioni .. sto studiando x un concorso e mi hai aiutato a esprimermi con la terminologia corretta nell' esercitazioni x lo scritto ..noi di solito "eseguiamo" ma non siamo abituati ad esprimerlo in uno scritto!

bene mi fa piacere ti siano tornati utili le informazioni

Vale anche per gravi cerebrolesiioni post traumatiche su pazienti parkinsoniani? Grazie

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